di Alessandra Litrico*
Quale distanza?
Quella giusta,
imposta, normata.
Dobbiamo stare dentro
le case
le cose
le parole
gli abbracci immaginati.
Un giorno si faranno carne.
Sì, un giorno, non adesso.
Tre settimane, cinque giorni, due minuti
ciascuno barricato
nel suo tempo fermo
immobile
in quarantena.
La relatività contagia le cose.
Vedi?
Il sugo
cuoce lento
senza fretta,
lenzuola stese al sole
come trionfi di bandiere
in attesa dell’inno delle diciotto.
Il tempo ha smesso di esistere
è altro
si ribella al nostro agire.
La natura
implora ascolto
forse potevamo fare di più,
molto di più,
dovevamo, avremmo potuto.
Affanno tra condizionali
fuori il mondo patisce
la perdita,
il silenzio maledetto
l’assenza.
Vedi?
Condivide il dolore
con canti dolorosi
dagli stretti balconi.
Qui, ora, restiamo a casa.
Noi, tu, voi.
Non loro.
Lei mantiene la distanza
l’incedere di lui è lento,
gli occhi trafitti dalla luce
rivolti al frutto sacro
dell’amore cieco.
Inerme,
piange in mezzo al verde
appena a un metro da chi corre
senza sapere dove.
Forse ha capito
molto più di loro.
Se potesse parlare
-Io immagino-
direbbe torniamo a casa
non voglio andare
lasciatemi riposare
proteggetemi
non voglio stare qui.
Salvatemi
salvateci, vi prego
lo sto urlando da qui
senza parole.
Che becera cecità
che volgare meschinità
avere il coltello
dalla parte del manico
e poi usarlo.
*
Alessandra Litrico è nata a Catania nel 1985. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio Strade inquiete (Watson) e nel 2016 un suo aforisma è stato pubblicato nel progetto Bookpusher (Giulio Perrone Editore).
Laureata in giurisprudenza, si occupa di editoria e comunicazione on line per Dario Flaccovio Editore.