È stato presentato ieri, alla libreria Incipit di Palermo, il saggio di Rosalinda Gianguzzi “Educare: una sfida possibile”. Cogliamo l’occasione per riportare, appresso, la lettera che Rosalinda inviò al Ministro Gelmini, Ministro dell’istruzione, del’università e della ricerca (è il caso di sottolineare che una volta il ministero era detto “della Pubblica Istruzione”, e adesso “Pubblica” è stato soppresso? Ma no, chi ce lo fa fare).
Ecco la lettera.
Gentile Ministro Gelmini,
l’altro giorno, leggendo la sua intervista sul Corriere della Sera, in cui dichiarava che l’ASTENSIONE OBBLIGATORIA DOPO IL PARTO è un privilegio, sono rimasta basita.
Che lei fosse poco ferrata sui problemi dell’educazione, non era necessaria la laurea in pedagogia, che io possiedo e lei no, o i tre corsi post laurea, che io possiedo e lei no, visto quello che sta combinando alla scuola statale. Ma almeno speravo avesse competenze giuridiche, essendo lei avvocato ed io no.
Certo, dato che lei, ora paladina della regionalizzazione, si è abilitata in “zona franca” (quel di Reggio Calabria), perché più facile (come da lei con un’ingenuità e candore imbarazzante affermato), lo si poteva supporre. E allora, prima le faccio una piccola lezione di diritto e poi parliamo d’educazione. L’astensione dopo il parto, sulla quale lei oggi con tanta leggerezza motteggia, è definita OBBLIGATORIA ed è un diritto inalienabile previsto da quelle leggi, per cui donne molto più in gamba di lei e di me, hanno combattuto strenuamente, a tutela delle lavoratrici madri.
Discorso diverso è il congedo parentale, di cui si può fruire, dopo i tre mesi di vita del bambino, per un totale di 180g, solo in parte retribuiti integralmente. Ovviamente per persone come lei, con un reddito di oltre 150.000 euro l’anno, pari quasi a quello del governatore della California Arnold Schwarzenegger, discutere di retribuzione, in questo caso più che un privilegio, è un’eresia.
Ovviamente lei non può immaginare, perché può permettersi tate, tatine, nido “aziendale” al ministero, ma LA GENTE NORMALE, che lei dice di comprendere, ha a che fare con file d’attesa interminabili per nidi insufficienti e costi per baby-sitter superiori a quelli della propria retribuzione.
Voglio dirle una cosa però, consapevole che le mie affermazioni susciteranno più clamore delle sue, DA PEDAGOGISTA E DA ESPERTA, affermo che fruire dell’astensione OBBLIGATORIA oltre che un DIRITTO è anche un DOVERE, prima di tutto morale e poi anche sociale.
Come vede ho più volte sottolineato la parola OBBLIGATORIA, che già di per se dovrebbe suggerirle qualcosa. Ma preferisco spiegarmi meglio, anche se è necessaria una piccola premessa doverosa.
Lei come tante donne, crede che l’essere madre, anche se nel suo caso da pochi giorni, le dia la competenza per parlare e pontificare su educazione e sviluppo del bambino, ai quali grandi studiosi hanno dedicato anni e anni di studio. In realtà, per dibattere sulla pedagogia, oggi chiamata più propriamente SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, bisogna avere competenze specifiche, che dalle sue dichiarazione lei non sembra possedere.
Le potrei parlare della teoria sull’attaccamento di Bowlby, dell’imprinting e di etologia, ma non voglio confonderle le idee e quindi ricorro ad esempi più accessibili.
Basta guardare il regno animale per rendersi conto come le femmine di tutte le specie non si allontanano dai cuccioli e dedicano loro attenzione massima e cura FINO ALLO SVEZZAMENTO Non è una legge specifica relativa agli umani, ma della natura tutta. Procreare, infatti, implica delle responsabilità precise, è una scelta di vita, CHE SE CAMBIA IL COMPORTAMENTO ANIMALE, A MAGGIOR RAGIONE CAMBIA LA VITA DI UNA DONNA.
Sbaglia chi crede che l’arrivo di un figlio, non comporti cambiamenti nella propria vita. Un bambino non chiede di nascere, fare un figlio non è un capriccio da togliersi, ma una scelta di servizio, di dono di se stessi e anche del proprio tempo. Non sono i figli che devono inserirsi nella nostra vita, siamo noi che dobbiamo cambiarla per renderla a loro misura. Se non facciamo questo, potremmo fare crescere bambini soli, senza autostima e con poca sicurezza di sé. Bambini affamati di attenzioni, perché non gliene è stata data abbastanza nel momento in cui ne avevano massimo bisogno, cioè i primi mesi di vita. L’idea che non capiscono niente, che non percepiscono la differenza ad esempio tra un seno materno e un biberon della tata, è solo nostra. Ciò non vuol certo dire che tutti bambini allattati artificialmente o che tutti bambini con genitori che tornano subito a lavoro, saranno dei disadattati. Ma bisogna fare del nostro meglio per farli crescere bene, come quando in gravidanza assumevamo l’acido folico, per prevenire la “spina bifida”.
I bambini hanno nette percezioni, già nel grembo materno. L’idea, che se piangono non si devono prendere in braccio “perché si abituano alle braccia”, è un luogo comune.
Le “abitudini” arrivano dopo i 6 mesi, fino ad allora è tutto AMORE. Non è un caso che studi recenti, riabilitano il co-sleeping, (dormire nel lettone) e i migliori pediatri sostengono la scelta dell’allattamento a richiesta. Il volere educare i bambini inquadrandoli come soldati, già dai primi giorni di vita, non solo é antisociale, perché una generazione cresciuta senza il rispetto dei suoi ritmi di crescita può essere inevitabilmente compromessa, ma è un comportamento al di fuori delle più elementari regole umane e naturali.
Poi è anche vero che per molte donne, tornare a lavorare subito dopo il parto sia una necessità assoluta. Ma per questo problema dovrebbe intervenire adeguatamente lo Stato e non certo con affermazioni come le sue.
Mi rendo conto che il suo lavoro le permette di lasciare la bambina, rilasciare interviste di questo tipo (di cui noi non sentivamo la necessità) e tornare con comodo da sua figlia. Ma ci sono lavori che richiedono tempi e una fatica fisica e mentale che lei non conosce. Tempo che sarebbe inevitabilmente tolto ad un neonato che ha bisogno di una mamma “fresca”, che gli dedichi la massima attenzione.
Noi donne infatti, se spesso per necessità ci comportiamo come Wonder Woman, poi siamo colpite da sindrome di sovra affaticamento. E non è vero che è importante la qualità e non la quantità:
* perché la qualità del tempo di una mamma da pochi giorni, che rientra nel tritacarne della routine quotidiana, aggiungendo il carico della gestione di un neonato, può essere compromessa.
* perché un bambino non dovrebbe scegliere tra qualità e quantità, almeno nei primi mesi, dovrebbe disporre di entrambe le cose.
Per non parlare poi del fatto, che se un genitore non può permettersi qualcuno che tenga il bambino nella propria casa, nel corso degli spostamenti, lo espone, con un bagaglio immunologico ancora carente, alle intemperie o alle inevitabili possibilità di contagio presenti in un nido. Infatti, è scientificamente provato che i bambini, che vanno al Nido troppo presto, o che non vengono allattati al seno, sono più soggetti ad ammalarsi, con danno economico sia per le famiglie che per il sistema sanitario.
Poi per carità, si può obiettare, che ci sono bambini che si ammalano anche in casa, o come succede anche ai bambini allattati al seno, ma è come dire ad un medico, che giacché si è avuto un nonno fumatore campato 100 anni, non è vero che il fumo fa male.
Bisogna dunque incentivare i comportamenti da genitore virtuoso, anche con la consapevolezza che i bambini non sono funzioni matematiche, ma si può fare molto, per favorire una crescita armoniosa, già dalla prima infanzia, se non addirittura durante la gravidanza.
E allora le domando Ministro, di svolgere il suo ruolo importante istituzionale con maggiore serietà, cercando di evitare affermazioni fuori luogo come questa, o come quella secondo cui “studiare non è poi così importante”, prendendo Renzo Bossi come esempio.
Si dovrebbe impegnare di più nell’analisi dei problemi, per evitare valutazioni errate e posizioni dannose per lei, per gli altri e per il Paese.
Perché forse qualcuno potrebbe aver pensato che tutto sommato il suo era un ministero poco importante, che se guidato da un giovane ministro senza competenze specifiche, “non poteva arrecare grossi danni”, soprattutto obbedendo ciecamente ai dettami del Tesoro, ma lei con la sua presunzione di voler parlare di cose che non conosce, sta contribuendo a minare il futuro di un’intera generazione.
Un’ultima cosa, lei che di privilegi se ne intende bene, essendo un politico, la usi con maggiore pudore questa parola.
05-05-10 – Rosalinda Gianguzzi
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3 Commenti
Un pomeriggio tra amici
Nessuno racconta questa storia oggi, nessun giornale, nessuna tv, perché troppo anonima, troppo simile a quella di molti altri, per molti versi banale: una signora nessuno, che racconta di un signor niente….o forse no.
Non lo sapremo mai, non lo sapranno mai, perché, come afferma Salvatore Giordano, c’è l’embargo dell’informazione, e un sogno di speranza non deve fare notizia. Non sono Franceschini, e forse neanche una scrittrice, ma pazienza, anche questa storia ve la racconto io……
“Giuro, ho fatto tutto bene stavolta, sono andata dal parrucchiere, ho indossato il tailleur, perfino le perle ho messo!
Sono in una bella libreria del centro,con il nome latino Incipit.
C’è il fotografo, anche quello di riserva, la planer, il video proiettore e ho la scaletta scritta al computer.
Ho la penna con me, scrive, non è rossa quando deve essere nera, e non è nera, quando deve essere rossa, e non è neanche con il porcellino Pimpi che si illumina e la pelliccetta, che fa tanto ridere i miei alunni.
Eppure non è servito! La prima presentazione del mio libro non è andata come doveva.
Dopo un ottimo intervento preparato, competente, serio al punto giusto di Salvatore Giordano, sociologo esperto dei processi di apprendimento, già con l’intervento di Marisa Cuccì, segretaria regionale della FlcCgil, e soprattutto amica, ho capito che il tutto stava prendendo una “brutta piega”.
Mi viene da piangere quando lei racconta di me, di noi, del nostro rapporto speciale, e non va bene.
Che idiota che sono, penso, forse sono l’unica autrice della storia del mondo intero, che piange alla sua presentazione!
Il book trailer mi da la possibilità di ricacciare le lacrime dentro!
Poi inizio a parlare: sebbene le perle, il tailleur, la penna, i capelli lisci, il fotografo, la planer: ormai è fatta!
Le facce dei presenti sono già diverse, 20/30 persone in tutto, non di più, molte delle quali a me conosciute: amici, parenti, colleghi, compagni di vita, hanno cambiato l’espressione in volto.
Non hanno più la faccia attenta, tirata, di chi va alla presentazione di un libro, di una grande esperta, nella settimana della cultura.
Hanno l’espressione sorridente, rilassata, divertita dalla mia buffa aneddotica.
Quelle espressioni che ricordo di aver visto dentro una tenda, nelle mie notti da scout, quando parlavamo a bassa voce per non farci sentire.
O nella mia stanza con le amiche, mentre sfogliavamo i diari segreti.
O dietro un falò in spiaggia, quando si guardavo con gli amici le stelle e sognavamo, e non certo alla presentazione di un libro.
Si, perché in fondo con queste persone ieri, ho condiviso un sogno, un progetto di felicità.
Anche il bel viso agè di Pina Malsano vedova Grassi, aveva quella espressione, quella bella luce complice.
Perfino il severo Professore Di Giorgio, giornalista, e critico letterario, con quello sguardo severo, e la bella pipa nelle mani, era contagiato, da questa allegrezza, da questo virus di speranza.
Perché “Educare è una sfida possibile”, e lo affermo con convinzione quando mi chiedono se lo è davvero.
Ma forse lo è se educhiamo noi stessi, per primi, a rimanere bambini, a non prenderci troppo sul serio, a coltivare un progetto di speranza per l’uomo, e per il futuro di un paese, che passa solo attraverso il benessere delle persone.
Ed educhiamo la politica, lo Stato, le istituzioni, alla logica della felicità, che non c’entra nulla con quella del profitto.
“Restiamo umani” affermava Vittorio Arrigoni, ed educhiamo i nostri figli ad esserlo.
Anche attraverso le fiabe, come quella che viene raccontata nel mio libro, perché questo è un libro che racconta una fiaba, strana, con tanti protagonisti, un solo antagonista: la voglia di arrendersi al brutto e cattivo, ed una trama che è tutta da scrivere, insieme, genitori e figli, istituzioni e cittadini.
Ho letto da qualche parte di non scoraggiarsi se alla prima presentazione di un libro scritto da un emergente ci sono 2/3 persone.
Io penso invece che se succede, è bene preoccuparsi, perché vuol dire che non si sono coltivati rapporti umani, e questo è tristissimo.
Io avevo accanto, amici: Antonella, Giacomo, Alessia.
E anche parenti, i miei genitori, mio marito, mia sorella, mia cognata e mia suocera.
Ma anche tante persone che non conoscevo, ma con le quali, per un pomeriggio ho fatto un patto segreto, di sangue, un “club” come quello che fanno i bambini a scuola.
Il club di chi pensa che educare il mondo ad essere più bello è possibile.
La presentazione finisce dopo il cockail, ho dimenticato i ringraziamenti, la scaletta non è stata rispettata, fuori piove a dirotto, decido di fare l’ultima follia, andare a prendere la macchina sotto l’acqua scosciante, ne ho bisogno: mi bagno, i capelli si arricciano, ma sono felice.
Giuro, lo prometto, la prossima volta sarà diverso, farò davvero una presentazione come si deve, ed eviterò di trasformarla in uno spettacolo di cabaret, in un bellissimo pomeriggio tra amici….o forse no.
Rosalinda Lo Presti Gianguzzi
Se è così, speriamo che ti vada DI NUOVO “male”:)!
Mi complimento con lei, dott.ssa Gianguzzi, sia per l’anomala quanto sincera presentazione, sia per la lettera inviata al Ministro dell’Istruzione (perchè come ha fatto notare Salvatore Giordano, misteriosamente è stata resa facoltativa la parola “pubblica”, il che è tutto dire!).
Per ovvie ragioni logistiche non ho potuto essere presente fisicamente, abitando a un migliaio e più di km di distanza, precisamente dalla provincia di Verona, tuttavia sapevo della giornata -evento, anche perchè sono molto ovviamente interessato alle iniziative promosse da Nulla Die, essendo anch’io in procinto di esordire con il mio romanzo con la medesima casa editrice.
Ammiro la schiettezza con cui ha rivolto quelle parole alla Gelmini, francamente non so se avrei avuto lo stesso spirito battagliero ma probabilmente si è sentita presa in causa, come donna e come madre.
Tornando al suo libro, che non ho ancora letto ma che farò volentieri prossimamente, anch’io credo che, rifacendomi all’efficace titolo, “educare sia una sfida possibile”.
Sono stato per una breve stagione, interrotta in modo indiretto proprio dal profilo tenuto dalla Gelmini, che mortifica i giovani come me, insegnante alle scuole medie, prima di tornare ad occuparmi stabilmente di educazione e formazione, materie nelle quali mi sono specializzato all’Università. L’ambito che seguo è quello della disabilità psichica, in particolare attraverso metodologie “alternative” come ad esempio la teatroterapia, che pratico con gli utenti del centro per il quale lavoro e che hanno fruttato una commedia nel 2009/10 e un’altra tutt’ora in cantiere. Meglio, in itinere, visto che a fine maggio, il 29, si terrà la “prima” presso il teatro di Salizzole, comune della Bassa Veronese.
“Carlotta e la Felicità” sarà interamente interpretata dagli ospiti disabili del centro, molti dei quali avevano già “assaggiato” il palco l’estate scorsa nella precedente commedia “Aurora e il Bosco Magico”, scritta e diretta da me con il sostegno di colleghi e di molti volontari della cooperativa.
Nel nostro contesto ogni giorno io e gli altri educatori ci poniamo la fatidica domanda: “ma educare è davvero possibile?”.
La risposta nel mio caso è affermativa, anche se non significa necessariamente “insegnare” qualocosa, giacchè la vita non è materia da apprendere, ma ritengo importante che a piccoli passi, si possano raggiungere altrettanti piccoli, eppure significativi traguardi. Credo che una qualità di vita dignitosa sia appannaggio di chiunque, anche di chi da sempre vive affrontando molteplici difficoltà, sbattendo contro potenti barriere, più di tipo mentale che di tipo fisico. Le barriere che sono tradotte con gli atteggiamenti di certe persone, con i pregiudizi e con la paura.
Allora, occorre in primis educare le persone a eliminare sentimenti di questi tipo e ad aprirsi a qualcosa di “altro” da noi.
Con stima
Gianni Gardon